Nel  procedimento  penale n. 3614/1999 R.G. della Corte d'appello
  di  Roma  a  carico  di Sgarbi Vittorio, ha pronunciato la seguente
  ordinanza sulla richiesta avanzata dal Procuratore Generale e dalla
  parte  civile  all'udienza dibattimentale del 6 giugno 2000, con la
  quale   si   chiedeva   che   sia   sollevato  dinanzi  alla  Corte
  Costituzionale conflitto di attribuzione nei confronti della Camera
  dei  deputati,  con  riferimento alle deliberazioni dell'assemblea,
  adottate  in data 23 marzo 1999, con le quali sono state dichiarate
  non sindacabili le opinioni espresse dallo Sgarbi, oggetto del capo
  d'imputazione di cui al presente procedimento penale.
    Sentiti i difensori dell'imputato;

                            O s s e r v a

    Con  sentenza  in  data  28  ottobre  1998  il  tribunale di Roma
  condannava Sgarbi Vittorio - imputato di diffamazione aggravata con
  il  mezzo  della  stampa e per attribuzione di fatto determinato ai
  danni   di  Caselli  Giancancarlo  -  alla  pena  di  due  mesi  di
  reclusione.  Nell'appello  proposto avverso la sentenza indicata si
  chiedeva, fra l'altro, la dichiarazione di non punibilita', perche'
  la  condotta  incriminata  era stata espletata nell'esercizio della
  funzione parlamentare.
    Era  acquisita  agli  atti  del  procedimento penale d'appello la
  deliberazione  della  Camera  dei Deputati assunta in data 23 marzo
  1999,  riferita  ai  fatti  per cui e' processo e precisamente alle
  espressioni  riportate  nel  capo  d'imputazione,  pronunciate  dal
  deputato Sgarbi in occasione di un comizio tenuto il 27 marzo 1996.
  Nella  deliberazione  in  esame  era espressa l'opinione secondo la
  quale  i  fatti  dedotti nell'imputazione erano da ricondursi in un
  contesto  politico  e  che,  quindi,  lo Sgarbi aveva esercitato il
  legittimo  diritto  di  critica parlamentare; percio' i fatti per i
  quali  era in corso il presente procedimento, e gli altri che erano
  derivati  dal  medesimo fatto, riguardavano opinioni espresse da un
  membro  del  Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni (art. 68,
  primo comma Cost.).
    Occorre   a   questo  punto  rilevare  innanzi  tutto,  che  alle
  deliberazioni   della   Camera,   con   la  quale  e'  riconosciuta
  l'operativita'  dell'articolo  n. 68  della  Costituzione, consegue
  necessariamente l'effetto preclusivo alla prosecuzione del giudizio
  che ci occupa; all'autorita' giudiziaria e percio' anche alla Corte
  d'appello,    tuttavia,    spetta   il   controllo   sull'esattezza
  dell'esercizio del potere conferito dall'articolo n. 68 richiamato,
  mediante  lo strumento del ricorso al conflitto di attribuzione, ai
  sensi  dell'articolo  n. 37  della  legge 11 marzo 1953, n. 87, nel
  senso  di  verificare se sia stato dato causa a un uso non corretto
  del  potere  parlamentare,  tale da vulnerare le attribuzioni degli
  organi della giurisdizione o di interferire sul relativo esercizio.
    La  Corte  costituzionale,  a  tal  proposito,  ha  avuto modo di
  chiarire  in  piu' occasioni (sentenze n. 1150 del 1988, n. 443 del
  1993,  n. 265 e 375 del 1997), che nell'ambito del giudizio in tema
  di   conflitto   fra   poteri   riguardante   l'affermazione  della
  insindacabilita'  ai sensi del gia' richiamato articolo n. 68 della
  Costituzione,   "la  Corte  non  puo'  rivalutare  la  ponderazione
  compiuta dalle Camere, ma soltanto accertare se vi sia stato un uso
  distorto,  arbitrario del potere parlamentare, tale da vulnerare le
  attribuzioni  degli organi della giurisdizione o da interferire sul
  loro esercizio" (sentenza n. 443 del 1993).
    Tale verifica "ha per oggetto l'esame della regolarita' dell'iter
  procedurale   e...   la   sussistenza   dei  presupposti  richiesti
  dall'articolo n. 68, cioe' la riferibilita' dell'atto alle funzioni
  parlamentari:   e'   il   nesso   funzionale,   il  discrimine  fra
  quell'insieme  di dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono
  cosi' di frequente nell'attivita' politica di deputati e senatori -
  e  le  opinioni  che  godono  della particolare garanzia introdotta
  dall'articolo  n. 68,  primo  comma,  della  Costituzione (sentenza
  n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998).
    Anche  sul  c.d.  nesso  funzionale  la  Corte  ha  avuto modo di
  intervenire, precisando che "costituisce premessa ormai costante il
  principio,   concernente  i  presupposti  di  applicabilita'  della
  prerogativa  della  insindacabilita',  per  cui quest'ultima non si
  estende  a tutti i comportamenti di chi sia membro delle Camere, ma
  solo  a  quelli funzionali all'esercizio delle attribuzioni proprie
  del potere legislativo..." (sentenza n. 289 del 1998); "La funzione
  parlamentare  ha  una dimensione peculiare nel sistema. Se essa non
  si  risolve  negli  atti  tipici e ricomprende quelli presupposti e
  consequenziali,  non  si  puo'  pero' ricondurvi l'intera attivita'
  politica  svolta  dal deputato o dal senatore: tale interpretazione
  finirebbe,   invero,  per  vanificare  il  nesso  funzionale  posto
  dall'articolo  n. 68,  primo  comma  e  comporterebbe il rischio di
  trasformare la prerogativa in un privilegio personale..." (sentenze
  n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998).
    Si  tratta,  in  fondo, di un principio ormai del tutto pacifico,
  che anche la Corte di cassazione ha ribadito di recente, affermando
  che  gli  atti  di funzione - che sono insindacabili anche da parte
  dell'autorita'   giudiziaria,   perche'   espressione   della  loro
  indipendenza   e   autonomia   -   sono  soltanto  quelli  relativi
  all'esercizio delle funzioni proprie di membro del Parlamento, vale
  a  dire  gli atti tipici del mandato parlamentare (presentazione di
  disegni  di  legge, interpellanze e interrogazioni, ecc.), compiuti
  dagli   organi   parlamentari  o  para-parlamentari  (gruppi),  con
  l'esclusione di quelle attivita' che ne sono estranee pur latamente
  connesse    con    la    funzione,   quali   l'attivita'   politica
  extraparlamentare esplicata all'interno dei partiti.
    Ne  consegue  che  non  possono  farsi  rientrare  nell'attivita'
  coperta  dalla  prerogativa  della  insindacabilita',  tutte quelle
  manifestazioni  di  pensiero  che  -  espresse  in  comizi, cortei,
  trasmissioni radiotelevisive o durante lo svolgimento di scioperi -
  non  possono  vantare alcun collegamento funzionale con l'attivita'
  parlamentare,  se  non  meramente  soggettivo,  in  quanto poste in
  essere  da  persona fisica che e' anche membro del Parlamento (cfr.
  Cass. sez. V, sentenza 11667 del 16 dicembre 1997 C.E.D. 209264).
    Chiarito  cio', appare opportuno rilevare, a questo punto, che le
  espressioni  contestate  allo  Sgarbi come diffamatorie non possano
  ritenersi collegate funzionalmente alla sua attivita' parlamentare;
  considerate  l'occasione in cui tali espressioni furono pronunciate
  e  il  luogo,  non puo' ritenersi sussistere alcuna connessione tra
  quelle  e  gli  atti  tipici  della  funzione  parlamentare, ne' e'
  possibile  individuare  nel  comportamento  dello  stesso, quale e'
  stato  sottoposto  alla cognizione di questa Corte d'Appello un sia
  pur  minimo  intento  divulgativo  di  una scelta o di un'attivita'
  politico-parlamentare,    quale    una    proposta   di   legge   o
  un'interrogazione o interpellanza, eccetera.
    Per  le ragioni esposte, le delibere di insindacabilita' adottate
  dalla  Camera e sopra indicate, appaiono indubbiamente lesive delle
  attribuzioni di un organo giurisdizionale.
    Infatti,  nel  caso  di  specie  non puo' ravvisarsi, a parere di
  questa  Corte,  alcun  collegamento  funzionale  fra le espressioni
  contestate  come  diffamatorie  all'imputato  Sgarbi, stante la non
  riscontrabilita'  di  connessione  con  atti  tipici della funzione
  parlamentare,   in   quanto   non  e'  possibile  individuare,  nel
  comportamento  sottoposto  alla  cognizione  di  questo giudice, un
  intento  divulgativo  di  una  scelta  o,  piu' in generale, di una
  "attivita'   politico-parlamentare.   Invero,   la  Giunta  per  le
  autorizzazioni  a  procedere  in  giudizio  (doc.  4-quater,  n. 65
  presentato  alla Presidenza il 22 marzo 1999) ha evidenziato che lo
  Sgarbi   aveva   "presentato  numerose  interrogazioni  concernenti
  l'operato  del  Caselli  nella  sua veste di Procuratore di Palermo
  (l'onorevole  Sgarbi  ha  depositato,  in  particolare,  presso  la
  Giunta,  le  interrogazioni  n. 3/00009 del 29 aprile 1994, 3/00010
  del  29  aprile  1994,  4/08683  del  21 marzo 1995, 3/01624 del 28
  ottobre 1997, 3/02476 dell'8 giugno 1998).
    Tali interrogazioni non attengono, evidentemente, in modo diretto
  alle  esternazioni rese dal deputato Sgarbi, per le quali pendono i
  procedimenti  indicati.  Ciononostante  esse  sono  sintomo  di una
  costante attenzione manifestata dal deputato Sgarbi, nell'esercizio
  dell'attivita'  ispettiva  propria di un parlamentare, sull'operato
  della Procura di Palermo.
    Sul merito della vicenda, l'opinione prevalente nell'ambito della
  Giunta  e'  stata nel senso che i fatti, per i quali e' pendente il
  procedimento,   sono   da  ricondursi  a  un  contesto  prettamente
  politico,  nell'ambito  del  quale e' stato esercitato, sia pure in
  forma  paradossale e forse non conveniente, il legittimo diritto di
  critica del parlamentare. Il complesso di tali motivi ha indotto la
  Giunta  ad  approvare,  a maggioranza, una proposta per l'assemblea
  nel  senso  che  i  fatti  per  i  quali  sono  in  corso  i citati
  procedimenti   concernono   opinioni  espresse  da  un  membro  del
  Parlamento    nell'esercizio   delle   sue   funzioni,   ai   sensi
  dell'articolo n. 68, primo comma della Costituzione".
    Come   emerge  dagli  atti  parlamentari  pervenuti,  la  Camera,
  accogliendo  la  proposta  della  Giunta  (resoconto  sommario 510,
  seduta  di  martedi'  23  marzo  1999,  pag. 20) e condividendone i
  criteri  adottati,  ha  omesso  di  considerare  che  non  si  puo'
  ricondurre,   nella   funzione   parlamentare,  l'intera  attivita'
  politica   svolta   dal   deputato,  perche'  tale  interpretazione
  vanificherebbe il nesso funzionale di cui all'articolo n. 68, primo
  comma  della Costituzione e comporterebbe il rischio di trasformare
  la   prerogativa   in   un  privilegio  personale  (sentenze  Cost.
  n. 375/1997  e  289 del 1998): cio' perche', il fatto che si tratti
  di  argomento  rilevante politicamente e trattato in piu' occasione
  da un deputato, non comparta di per se' che ci si trovi in presenza
  di  esercizio  di  funzione  parlamentare, da ravvisare solo quando
  tale   attivita'  sia  correlabile  a  uno  specifico  atto  tipico
  parlamentare.  Le dichiarazioni dello Sgarbi non possono ricondursi
  nell'alveo  dell'insindacabilita',  perche' hanno natura di insulto
  personale  e  scollegate dalle funzioni parlamentari e da qualsiasi
  valutazione  politica  e  sono estranee a dette valutazioni, com'e'
  dimostrato  dalla loro genericita' e dalla carenza di riferimenti a
  fatti concreti, specifici, determinati.
    Pertanto,  la  deliberazione  della  Camera  esorbita dall'ambito
  derogatorio   consentito  dal  citato  articolo  n. 68,  risultando
  violati  gli  articoli  101, secondo comma, 102, primo comma e 104,
  primo  comma  della Costituzione, che tutelano la titolarita' della
  funzione  giurisdizionale  spettante  alla magistratura, nonche' la
  legalita'  e  l'indipendenza  del suo esercizio e appare violatrice
  altresi', degli articoli n. 3, primo comma Cost., per la disparita'
  di   trattamento   che   verrebbe   introdotta   tra   cittadini  e
  parlamentari,  nonche'  dell'articolo  24,  primo  comma Cost., che
  inibirebbe  alla parte lesa Caselli ogni tutela giurisdizionale sol
  perche' offeso da un parlamentare.